Introduzione al “Canto della Spada”

Introduzione al “Canto della Spada” (estratto dallo stage presso l’Arcadia Comics – Ragusa, a cura di Fabrizio Corselli).

Sito ufficiale: www.ilcantodellaspada.com

Giornata mondiale della Poesia – Palermo 21 Marzo a Palazzo Steri

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Domani pomeriggio, sarò presente al Palazzo Steri per la Giornata mondiale della Poesia. Emoticon smile

Ore: 17.00

Due testi poetici in lettura da Nibelung e il Cigno nero

Isillindë – Masterclass d’improvvisazione orale al Wow di Milano – 13 marzo

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Isillindë – Masterclass d’improvvisazione orale al Wow di Milano – 13 marzo

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Scavando – Seamus Heaney

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SCAVANDO

Tra il mio pollice e l’indice
sta la comoda penna, salda come una rivoltella.
Sotto la finestra, un suono chiaro e graffiante
all’affondare della vanga nel terreno ghiaioso:
è mio padre che scava. Guardo dabbasso
finché la sua schiena piegata tra le aiuole
non si china e si rialza come vent’anni fa
ritmicamente tra i solchi di patate
dove andava scavando.

Con lo stivale tozzo accoccolato sulla staffa, il manico
contro l’interno del ginocchio sollevato con fermezza,
sradicava alte cime e affondava la lama splendente
per dissotterrare le patate novelle che noi raccoglievamo
amandone tra le mani la fresca durezza.
Il mio vecchio potrebbe impugnare una vanga presso Dio,
proprio come il suo vecchio.

Mio nonno estraeva più torba in un giorno
di qualsiasi altro uomo su, alla palude Toner.
Una volta gli portai del latte in una bottiglia
turata alla meglio con un pezzo di carta. Si raddrizzò
e lo bevve, poi subito riprese a lavorare
intaccando e dividendo, mentre con piote
sulle spalle andava sempre più a fondo
in cerca di buona torba. Scavando.

L’odore freddo dei solchi di patate, il tonfo
e lo schiaffo dell’umida torba, i tagli netti di una lama
tra le radici vive si destano nella mia memoria.
Ma non ho una vanga per succedere a uomini come loro.
Tra il mio pollice e l’indice
sta comoda la penna. Scaverò con quella.

(Traduzione a cura di Erminia Passannanti)

“Foglie nel vento – Workshop” – Articolo di Lavinia Scolari

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[Estratto]

Che cos’è per voi la poesia?»

Questo è stato l’esordio del workshop di “Foglie nel vento”, tenutosi l’8 febbraio a Palermo, nella sede dell’Associazione Culturale Sicilia-Giappone di via Giosuè Carducci. Il workshop, svoltosi in forma gratuita e aperta a tutti fino esaurimento posti, è stato condotto e curato dal poeta e scrittore Fabrizio Corselli, direttore della collana “Hanami” per i tipi di Edizioni della Sera, e organizzato dal Presidente dell’associazione Giuseppe Cannizzo e da Rossana Corso. Probabile prequel a un futuro corso di poesia orientale e haiku, l’evento si poneva l’obiettivo di diffondere la conoscenza della cultura e della poesia giapponese, in particolare della forma poetica dell’haiku. A partire dalle forme della sua ideazione, si è tracciato un percorso che ha attraversato le diverse modalità di composizione, le tecniche di improvvisazione poetica e i temi del genere.

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Secondo Natura – W.G. Sebald

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Piogge di fuoco divorante, mari tempestosi, ghiacci e rocce di un mondo vuoto di uomini, luci radianti, deserti combusti: con somma potenza di immagini, con il ritmo che il verso libero imprime a un linguaggio avvolgente, e in un costante intreccio di saperi (arte, scienze naturali, letteratura), Sebald ci offre nel poemetto Secondo natura – opera prima – un trittico che già contiene in nuce i caratteri della sua futura narrativa. I passeggiatori e gli emigrati dei romanzi e dei racconti sono già tutti qui prefigurati: la tragica vita del pittore Grünewald e di un suo misterioso doppio nella terrificante descrizione di opere come la pala d’altare di Isenheim; il viaggio dell’esploratore e medico settecentesco G.W. Steller alla scoperta, con Vitus Bering, dello stretto marino fra i ghiacci della Siberia e dell’Alaska; un’autobiografia, dalla nascita sotto le bombe, in un mattino di primavera, alle peripezie della famiglia e ai vagabondaggi europei, così simili a quelli di Jacques Austerlitz. Secondo natura è il primo dei tanti viaggi che Sebald ha intrapreso nei territori di una Natura colta con sguardo snebbiato, nelle sue incessanti metamorfosi. Un viaggio illuminato da una possente visionarietà. [Estratto]

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Elogio alla morte del padre – Jorge Manrique – Marsilio

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Jorge Manrique s’impone come personificazione esemplare delle qualità aristocratiche più apprezzate durante il tardo Medioevo spagnolo, aperto ormai alle istanze della cultura umanistica. Nato verso il 1440, probabilmente a Paredes de Nava, in provincia di Palencia, morto nel 1479, combattendo contro le truppe del marchese di Villena sotto le mura del castello di Garcimuñoz, il poeta durante tutta la sua breve esistenza si sforzò di sostenere i progetti politici del padre, il potente don Rodrigo Manrique, Maestro dell’Ordine militare di Santiago, e ne condivise le imprese a favore dei Re Cattolici e del loro ambizioso disegno di unificazione della Spagna. E per la morte del padre, avvenuta nel 1476, scrisse un’Elegia che si colloca fra le più alte espressioni della poesia europea quattrocentesca. Notevole abilità versificatoria rivelano inoltre le sue liriche amorose, apprezzabile esempio delle sottigliezze concettuali e degli artifici formali impostisi nelle consuetudini cortesi castigliane. Tre testi di carattere burlesco documentano anche la sua adesione alla tradizione giocosa delle caricature umoristiche e delle deformazioni parodistiche.

 

Nell’Elegia alla morte del padre confluiscono molti luoghi comuni della tradizione elegiaca tardomedievale, rielaborati in una costruzione armoniosa e misurata, in un linguaggio terso, dall’ammirevole tensione espressiva: un esordio lento e sentenzioso origina una riflessione vibrante sul destino umano, sviluppata con argomentazioni serrate e conclusa dall’esaltazione di un personaggio eroico, serenamente disposto ad affrontare anche l’estrema vicenda esistenziale. Nel denso poemetto si delineano pertanto le sequenze di un trittico solenne: la meditazione filosofica sulla inevitabile fine della vita, con una suadente testimonianza sulla caducità del potere, delle ambizioni umane e dei piaceri terrestri; la celebrazione della figura del padre e delle sue virtù cavalleresche e cristiane; l’incontro edificante fra l’eroe e la Morte, che pone in rilievo l’atteggiamento di estrema fiducia del credente nella volontà divina… [Estratto]

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Silenzi – Emily Dickinson

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Sottoposta a correzioni e censure, travisata dai contemporanei che non capendola la vissero come il prodotto di un’immaginazione confusa, ristretta, romanticamente persa nella lettura della Bibbia e nella ricerca dell’amore, la poesia di Emily Dickinson solo con l’edizione critica del 1955 è conosciuta nella sua forma originaria. Eppure anche le versioni in lingua italiana più recenti, salvo rare eccezioni, offuscano il senso che in quella poesia si racchiude, continuando a operare nei suoi confronti un conciliante addomesticamento. Con questa raccolta Barbara Lanati intende smentire l’immagine tuttora prevalente della Dickinson come vergine riservata, chiusa e timida del New England, la ragazza perbene vittima del potere del padre e del vittorianesimo imperante, e intende restituirne, con la traduzione, la scrittura inquieta e inquietante, astratta e insieme raffinatamente sensuale sgorgata da una vita fatta di reclusione, silenzio. Scabra, dura, ironica, spoglia di rime e facili assonanze che ne avrebbero ammorbidito il passo spasmodico, la poesia della Dickinson trascrive l’esperienza di una donna che seppe abbracciare la condizione della solitudine e farne un provocatorio strumento di conoscenza e avvicinamento all’uomo, una donna che visse nell’ostinata interrogazione del silenzio e a quel silenzio riuscì a dare un corpo: la parola poetica.

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