Archivio mensile:ottobre 2013
Citazioni – Poesia
Malaspina – Maurizio Cucchi
“Dopo aver toccato – quattro anni fa – uno dei suoi vertici in ‘Vite pulviscolari’, con la relativa frantumazione e dispersione del soggetto poetante, Maurizio Cucchi torna alla poesia in ‘Malaspina’ (un ‘laghetto’ ricco d’echi esistenziali e fonosimbolici) avvalendosi di una voce poetica ancor più profonda. Se si pensa anche ai successivi approdi narrativi dell’autore, si può leggere questo libro nuovo e compatto – animato da un’affabilità istintiva e rara nella poesia d’oggi – come il romanzo di un Io ricongiunto e tuttavia estraneo a ogni gravame scopertamente autobiografico o psicologico. La sezione d’apertura, “Berretto a sonagli”, ci restituisce un personaggio pirandelliano per nulla algido e sentenzioso, bensì proiettato in una dimensione “senza infingimenti” e obbligato a retrocedere “verso strati / sempre più occulti, come un archeologo, o un operaio / che manovra, nell’ignoranza / senza fine delle tenebre”. Nelle due successive si assiste a un processo di sprofondamento fisico e temporale nel passato, senza nostalgia né rimpianto per un ‘buon tempo antico’ del tutto inesistente. Piuttosto, ‘Malaspina’ agisce entro una quotidianità sospesa tra sogno e realtà, memoria involontaria e ironia, liquido amniotico e metamorfosi dell’umano nel vegetale, nel geologico, nel meccanico. Cronotopo del libro è una traversata di Milano insieme storica, toponomastica e vertiginosamente aperta a processi di sedimentazione cosmica e biologica.” (Alberto Bertoni)
Liriche giapponesi – Anonimo
Read leaves scene – Hero
Quanta poesia c’è nel finale di questo scontro! (a 4:00).
Saga dei Regni del Nord – Work in progress 12
I Seduti – Arthur Rimbaud
I Seduti
Neri di natte, butterati, gli occhi cerchiati di occhiaie
verdi, le dita abbarbicate ai loro femori,
l’occipite piagato di placche scorbutiche
come fioriture lebbrose di vecchie mura;
Hanno innestato, con degli epilettici amori,
l’ossatura bizzarra ai grandi scheletri neri
delle sedie; i loro piedi alle sbarre rachitiche
s’intrecciano mattino e sera.
Questi vegliardi si son sempre intrecciati ai loro seggi,
sentendo i vivi soli lucidargli la pelle,
oppure, con gli occhi ai vetri dove sbiadisce la neve,
tremando col doloroso tremare del rospo.
E le sedie li trattano bene; imbragata
di bruno, la paglia cede ai lati delle loro reni;
l’anima dei vecchi soli s’illumina, racchiusa
nelle trecce di spighe dove fermentava il grano.
Ed i Seduti, ginocchia ai denti, verdi pianisti,
le dita che tambureggiano sulla loro seggiola,
si ascoltano farfugliare patetiche barcarole
ed i loro capoccioni ondeggiano d’amore.
– Oh! Non fateli alzare! È un naufragio…
Si ergono, miagolando come gatti battuti,
aprono lentamente le scapole e, oh rabbia!
i loro pantaloni si gonfiano sulle ampollose reni;
E li si sente scontrarsi con le loro calve teste
sulle mura scure, ciabattando con i loro piedi
e i loro bottoni degli abiti sono fulve pupille
che vi rapiscono lo sguardo dal fondo dei corridoi!
Hanno poi una mano invisibile che uccide:
al ritorno, il loro sguardo filtra quel veleno nero
che offusca gli occhi sofferenti della cagna battuta,
e voi sudate, presi in un imbuto atroce.
Si risiedono con i pugni annegati nelle lorde maniche
ripensando a coloro che li han fatti alzare
e, dall’aurora alla sera, grappoli di bargigli
fremono fino a crepare sotto i loro gozzi.
Quando l’austero sonno abbassa le loro visiere
sognano sulle loro braccia sedie fecondate,
e di avere tutt’intorno amorini di sedie
a circondare le fiere scrivanie;
Fiori d’inchiostro sputano pollini come virgole
li cullano, accucciati lungo i calici
come attorno ai giaggioli il volo delle libellule
– E il loro membro s’irrita sulle barbe delle spighe.
Citazioni – Charles Bukowsky
Verso libero
Va domato con le giuste redini e con il giusto approccio. Ci si avvicina a esso con garbo, carezzandone prima il muso, delicatamente, per poi arrivare al suo cuore. Un movimento sbagliato, un gesto inatteso e la creatura si ribella. Uno sguardo inadeguato e la reazione di sfida è puntuale più che mai.
Indomito è il verso libero.
Il poeta addestrato sa come porsi, conosce le leggi della sua natura ferina, l’infiammarsi di quell’istinto che scorre lungo i finimenti del verso. La strofa si contrae al pari di un muscolo, è teso, pronto a uno scatto creativo. Agogna la meta, sbuffa, esala dalle sue froge quel sospiro del quale si nutre colui che lo “cavalca”.
Il poeta addestrato conosce ogni suo segreto.
Ma di tale creatura, crudele è la sua indole, malizia vi è in ogni sua apparente azione. Non v’è fierezza nel lasciare al poeta sprovveduto l’illusione di essere stato ammansita. Nessun garrese è stretto nella sua piena e nervosa palpitazione per una cavalcata libera, in infiniti spazi aperti.
Nemmeno l’esser disarcionato, nella piena attestazione del proprio fallimento, della propria caduta.
Dolore e ragione – Iosif Brodskij
Dolore e ragione apparve a New York nel 1995, poche settimane prima della scomparsa dell’autore – e così offrendosi inevitabilmente come opera testamentaria. Di fatto, leggendo i tre grandi saggi su Frost, Hardy e Rilke che fanno da perno al libro, risulta difficile immaginare un grado ulteriore di comprensione: sono prove stupefacenti di come si possa leggere e illuminare un testo passo per passo, sillaba per sillaba, quasi aderendo alla tensione muscolare della mano del poeta che scrive.
Accostando i saggi qui presentati a quelli su W.H. Auden, Marina Cvetaeva e Konstantinos Kavafis pubblicati in precedenza, vedremo delinearsi un paesaggio della poesia moderna nuovo e idiosincratico, ben più convincente di quelli offerti dalle varie scuole accademiche. Ma parlare di questi autori, per Brodskij, ha sempre significato parlare di tutto e del tutto, poiché per lui la poesia era «l’unica assicurazione disponibile contro la volgarità del cuore umano». Per questo non volle mai pubblicare un volume di saggi strettamente letterari e preferì vagare nel tempo, che è il vero medium del pensiero, unendo l’accidentalità autobiografica e l’evocazione delle ombre, che qui convergono nella memorabile Lettera a Orazio.