Elogio alla morte del padre – Jorge Manrique – Marsilio

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Jorge Manrique s’impone come personificazione esemplare delle qualità aristocratiche più apprezzate durante il tardo Medioevo spagnolo, aperto ormai alle istanze della cultura umanistica. Nato verso il 1440, probabilmente a Paredes de Nava, in provincia di Palencia, morto nel 1479, combattendo contro le truppe del marchese di Villena sotto le mura del castello di Garcimuñoz, il poeta durante tutta la sua breve esistenza si sforzò di sostenere i progetti politici del padre, il potente don Rodrigo Manrique, Maestro dell’Ordine militare di Santiago, e ne condivise le imprese a favore dei Re Cattolici e del loro ambizioso disegno di unificazione della Spagna. E per la morte del padre, avvenuta nel 1476, scrisse un’Elegia che si colloca fra le più alte espressioni della poesia europea quattrocentesca. Notevole abilità versificatoria rivelano inoltre le sue liriche amorose, apprezzabile esempio delle sottigliezze concettuali e degli artifici formali impostisi nelle consuetudini cortesi castigliane. Tre testi di carattere burlesco documentano anche la sua adesione alla tradizione giocosa delle caricature umoristiche e delle deformazioni parodistiche.

 

Nell’Elegia alla morte del padre confluiscono molti luoghi comuni della tradizione elegiaca tardomedievale, rielaborati in una costruzione armoniosa e misurata, in un linguaggio terso, dall’ammirevole tensione espressiva: un esordio lento e sentenzioso origina una riflessione vibrante sul destino umano, sviluppata con argomentazioni serrate e conclusa dall’esaltazione di un personaggio eroico, serenamente disposto ad affrontare anche l’estrema vicenda esistenziale. Nel denso poemetto si delineano pertanto le sequenze di un trittico solenne: la meditazione filosofica sulla inevitabile fine della vita, con una suadente testimonianza sulla caducità del potere, delle ambizioni umane e dei piaceri terrestri; la celebrazione della figura del padre e delle sue virtù cavalleresche e cristiane; l’incontro edificante fra l’eroe e la Morte, che pone in rilievo l’atteggiamento di estrema fiducia del credente nella volontà divina… [Estratto]

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Umberto Piersanti

Interno poesia

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Jacopo

tu, immune alle parole
e agli spaventi,
che c’entrano le strade
con la tua terra che nessuno
divide, striscia o frammenta?
le attraversi al mio braccio,
forestiero, le macchine lo sai
possono far male,
sono come la pietra che dal cielo
trapassò la tempia al generale,
sono molto più fitte
e quotidiane,
non sai da dove vengono,
che fanno,
solo che se ti tocca forte
ti fa male,
succede,
a tre anni il braccio si torceva,
non sai come

immune anche a quei segni
d’aria, fatti di niente,
che cerchiano tuo padre
per ogni strada,
il pegno che lui paga
alle folte parole,
alle fitte figure
che covano dentro
e vanno a fuoco

quand’ancora non eri lontano
e sperso
alla fiaba pensavo
di chi scendeva
da quel regno della vita,
sceglieva il cuore,
forse, del tempo che precede
qualcosa t’è rimasto,
ma confuso,
qualcosa che t’avviluppa i muscoli
ed…

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Baudelaire secondo Caproni

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Giorgio Caproni, uno dei più grandi poeti italiani, che traduce Charles Baudelaire, il più grande poeta di tutti i tempi. Ci chiedevamo che fine avesse fatto la bellissima traduzione dei Fiori del male curata dal poeta livornese. Si era persa traccia di questo  capolavoro nel capolavoro di Giorgio Caproni,  che è stato uno dei grandi traduttori italiani della migliore letteratura  francese. A lui dobbiamo la bellissima traduzione di Morte a  credito di Céline e altre importanti opere .

Nel 2008, a quarant’ anni dalla sua prima uscita,  è stata ripubblicata da Marsilio  la più bella versione di uno di libri più amati della storia universale della letteratura.

I fiori del male secondo Giorgio Caproni è  un evento che aspettavamo da molto tempo.  Caproni per tradurre il poeta maledetto ha  dedicato  la sua vita tenendo presente  lo spirito innovatore di Baudelaire, e non dimenticando  la straordinaria attualità di una poesia che…

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La Magia dell’Anello – Mostra

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Silenzi – Emily Dickinson

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Sottoposta a correzioni e censure, travisata dai contemporanei che non capendola la vissero come il prodotto di un’immaginazione confusa, ristretta, romanticamente persa nella lettura della Bibbia e nella ricerca dell’amore, la poesia di Emily Dickinson solo con l’edizione critica del 1955 è conosciuta nella sua forma originaria. Eppure anche le versioni in lingua italiana più recenti, salvo rare eccezioni, offuscano il senso che in quella poesia si racchiude, continuando a operare nei suoi confronti un conciliante addomesticamento. Con questa raccolta Barbara Lanati intende smentire l’immagine tuttora prevalente della Dickinson come vergine riservata, chiusa e timida del New England, la ragazza perbene vittima del potere del padre e del vittorianesimo imperante, e intende restituirne, con la traduzione, la scrittura inquieta e inquietante, astratta e insieme raffinatamente sensuale sgorgata da una vita fatta di reclusione, silenzio. Scabra, dura, ironica, spoglia di rime e facili assonanze che ne avrebbero ammorbidito il passo spasmodico, la poesia della Dickinson trascrive l’esperienza di una donna che seppe abbracciare la condizione della solitudine e farne un provocatorio strumento di conoscenza e avvicinamento all’uomo, una donna che visse nell’ostinata interrogazione del silenzio e a quel silenzio riuscì a dare un corpo: la parola poetica.

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Il Canto della Luna – Canzoniere fantasy a cura di Eldalië

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“Il Canto della Luna non è un concorso, ma un progetto letterario, a cura dell’Associazione Culturale Eldalië, incentrato sulla poesia fantasy. La sua finalità è quella di riunire, sotto un unico tema, i più validi poeti di tutta Italia.

 Gli autori selezionati saranno inseriti all’interno dell’opera letteraria “Il Canto della Luna — Canzoniere fantasy”, in formato e-book.”

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Colloquio sentimentale – Paul Verlaine

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Colloquio sentimentale

Nel vecchio parco solitario e ghiacciato
due figure poco fa sono passate.

Spenti hanno gli occhi, le labbra senza lena
e le loro parole s’odono appena.

Nel vecchio parco solitario e ghiacciato
due fantasmi hanno evocato il passato.

– Ricordi la nostra estasi d’un tempo?
– Perché mai volete che mi torni in mente?

– Ti batte ancora il cuore al solo mio nome?
Vedi ancora in sogno la mia anima? – No.

Ah! i bei giorni di felicità indicibile
che univamo le nostre bocche! – È possibile.

– Che cielo azzurro, che speranza infinita!
– Sconfitta, verso il cielo nero è fuggita.

Così andavano per le avene incolte,
le loro parole udì solo la notte.

Lucio Piccolo. Il fascino di un genio dimenticato

Carteggi Letterari - critica e dintorni

Agli albori del secolo scorso, in una Palermo trasognata e pomposa dominata dai Florio, nasceva negli agi nobiliari Lucio Piccolo (27 ottobre 1901), figlio di Giuseppe, grande possidente terriero nell’area nebroidea (con antenati crociati) e della contessa Teresa Mastrogiovanni Tasca Filangieri di Cutò (il ramo materno è più blasonato del paterno, annoverava ben tre vicerè di Sicilia ed era arrivato nell’isola al seguito dei Normanni; Teresa era la più giovane di cinque sorelle, tra le quali spiccava per cultura Beatrice, madre del futuro scrittore Giuseppe Tomasi di Lampedusa). Sin da ragazzino, Lucio assorbe tutta quella congerie già gattopardesca ormai immersa nel terribile sfacelo iniziato con l’unità d’Italia e la definitiva cacciata dei Borboni dal meridione.

Timidissimo e, a detta di molte testimonianze, eccessivamente attaccato alle gonne dell’autoritaria madre, cresce nell’enorme palazzo di famiglia in via Libertà – poi raso al suolo dalle bombe alleate durante la seconda guerra mondiale –…

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Punizione di Seamus Heaney

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PUNIZIONE

Sento la tensione
del capestro alla sua nuca,
il vento contro il petto
nudo.
Rende i suoi capezzoli
perle d’ambra,
scuote la fragile struttura
delle sue costole.

Vedo il suo corpo annegato
nella palude,
la pesante pietra,
i rametti e i fuscelli galleggianti,
sotto cui dapprima
era un arboscello scortecciato
estratto dalla melma –
ossa di quercia, cervello a barilotto,
la testa rasata
simile a stoppia di granturco,
gli occhi bendati da un lino lercio,
il cappio un anello
per cingere le memorie
dell’amore.

Piccola adultera,
prima che ti punissero
avevi capelli biondi come l’oro,
eri denutrita e la tua faccia
imbrattata di pece era bellissima.

Mia povera vittima,
quasi ti amo,
ma avrei scagliato, lo so,
la pietra del silenzio.
Io sono l’abile voyeur
delle onde scurite ed esposte
del tuo cervello, del tessuto
ritorto dei tuoi muscoli
e di tutte le tue ossa numerate,

io che ristetti ammutolito
quando le tue sorelle traditrici
imbrattate di pece
piansero presso il cancello,
io che sarei stato complice
dell’oltraggio civilizzato,
capisco tuttavia l’esatta, tribale
ed intima vendetta.