“Il cielo è come un mare
di cui le nubi paiono onde
e la luna sembra una barca
che naviga tra le stelle”
Anonimo giapponese
(Estratto da “Vita da Editor”)
Giacomo Sartori, agronomo di formazione, è uno dei redattori di Nazione Indiana e vive tra Trento e Parigi. Ha esordito nel 1996 con la raccolta di racconti Di solito mi telefona il giorno prima (ilSaggiatore); la sua ultima opera, pubblicata da CartaCanta editore, è il romanzo Rogo, in cui si alternano tre protagoniste: Lucilla, che vive alla fine degli anni ’70 il passaggio alla vita adulta e la relazione sentimentale con Ilio, prestante maestro di sci; Anna, che soffre di disturbi dell’alimentazione e affronta la prova più difficile per il proprio corpo nel 2012; la Gheta, accusata di stregoneria nel ’600. Le loro sono storie di drammatica maternità che dialogano attraverso il tempo e Sartori le intreccia con una scrittura sorvegliata e pregna di sofferenza.
Qui di seguito un’intervista sulla sua opera e sulla situazione editoriale e culturale italiana.
“Con Icaro, l’artista condivide la medesima e infausta sorte, perché troppo si è avvicinato al Sole, da mirabile e libera creatura”. Egli, fra tutte “le creature d’ali adorne”, si riflette nell’alter ego del cigno; non solo per la lievità del suo volo e la sua avvenenza nell’essere sedotto dal riflesso lunare – come il poeta concupito dall’emanazione della Musa nelle forme dell’ispirazione, di un passaggio numinoso che opera attraverso il lumen intellettuale d’un lampo ispirativo –, ma soprattutto nella condivisione di quel momento più drammatico che precede la morte. Dunque, il poeta, nella propria solitudine, al pari d’un calmo stagno la cui superficie per nulla s’increspa, “grida” (nel comporre) allo stesso modo dell’uccello lacustre, mentre s’appresta a morire “esanime” il proprio verso oltre le più alte vette d’una tragica forma”
(Estratto da “Nibelung e il Cigno nero”)
Domani pomeriggio, sarò presente al Palazzo Steri per la Giornata mondiale della Poesia. Emoticon smile
Ore: 17.00
Due testi poetici in lettura da Nibelung e il Cigno nero
SCAVANDO
Tra il mio pollice e l’indice
sta la comoda penna, salda come una rivoltella.
Sotto la finestra, un suono chiaro e graffiante
all’affondare della vanga nel terreno ghiaioso:
è mio padre che scava. Guardo dabbasso
finché la sua schiena piegata tra le aiuole
non si china e si rialza come vent’anni fa
ritmicamente tra i solchi di patate
dove andava scavando.
Con lo stivale tozzo accoccolato sulla staffa, il manico
contro l’interno del ginocchio sollevato con fermezza,
sradicava alte cime e affondava la lama splendente
per dissotterrare le patate novelle che noi raccoglievamo
amandone tra le mani la fresca durezza.
Il mio vecchio potrebbe impugnare una vanga presso Dio,
proprio come il suo vecchio.
Mio nonno estraeva più torba in un giorno
di qualsiasi altro uomo su, alla palude Toner.
Una volta gli portai del latte in una bottiglia
turata alla meglio con un pezzo di carta. Si raddrizzò
e lo bevve, poi subito riprese a lavorare
intaccando e dividendo, mentre con piote
sulle spalle andava sempre più a fondo
in cerca di buona torba. Scavando.
L’odore freddo dei solchi di patate, il tonfo
e lo schiaffo dell’umida torba, i tagli netti di una lama
tra le radici vive si destano nella mia memoria.
Ma non ho una vanga per succedere a uomini come loro.
Tra il mio pollice e l’indice
sta comoda la penna. Scaverò con quella.
(Traduzione a cura di Erminia Passannanti)
Intervista di Rossana Corso.
La rivista è consultabile on line. Articolo a pag. 16.
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se non brucia un po'... che libro è?
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