Un calice alquanto nero
è l’abisso della Poesia,
e dentro la mia anima
come una viscida serpe
inocula amabili parole
di duplice sembianza,
un veleno a me dolce
cupo come le tenebre
distillato poco a poco
con invisibile impronta.
Una linfa d’obliata veste
amara quanto il fiele
che rapisce del gusto
tinte ancor più intense;
come lacci che s’allentano
vanno giù le braccia
nel non poter afferrare
la propria arma di supplizio;
fluisce a profusione
l’inchiostro sul foglio,
lì, nel mantenermi vivo
quale dimentico automa
in balia d’una creativa
quanto sconfinata agonia.
Una linfa d’obliata veste
è siffatto veleno, nero,
come buia fossa nella quale
per sempre giace il cadavere
di stentorei sogni infranti.
Un’interminabile pena
è riempire quel calice vuoto.
(Estratto da “Nibelung e il Cigno nero – Linee Infinite Edizioni” – Sezione “Cigno nero, atto IX”)