Poesia ed Eros – Estratto Saggio breve

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Il poeta opera come un pittore su di una tela carnale, in cui ogni linea, ogni curva ed elemento del corpo rievoca espressivamente il movimento che l’ha generata; il corpo è materia viva, linfatica, preposta all’accrescimento e allo sviluppo di una struttura adulta in rapporto alle proprie passioni, seppur fuggevoli nel loro vissuto ma intense… uno stimolo alla creazione, poiché la parola è ormone della crescita e la poesia ne rappresenta l’intimo processo metabolico col quale si trasforma una fanciulla in donna, e una donna in adultera, drenando a poco a poco tra i propri tessuti compositivi quella soluzione salina e amara che individua la maliziosa volontà di colui che scrive. Così, anche il “mestruo” come del resto il “sangue purpureo” ed altri ancora sono termini che gridano, per diritto di nascita, la loro libertà semantica in rapporto al valore di «soffio vitale», di forza vivificatrice dell’essere e non meramente declassati a forme inespressive, quale può risultare la semplice denotazione di liquido fisiologico o altro che esuli dalla dirompente magniloquenza poetica; nessun tampone lessicale allora a frenare l’inarrestabile flusso della vita. Così ancora, termini tabù come “sperma”, “membro” – nella sua perspicua sembianza di pezzo di carne, quale mortificazione materica dell’orgoglio maschile – o altamente metaforici come “punta vermiglia”, “albino carnefice”, “crudo pasto”, “balsamo d’amorosa cura”, “lattiginoso nettare”, evocano tuttora mostri semantici così titanici dell’immaginario collettivo da far arretrare molte donne sprovvedute o il cui agire si nasconde dietro falso perbenismo borghese. Un afflato, questo, che s’addentra fra le anse oscure di un piacere amoroso celante minuzie e muti riverberi altresì scossi da vicende così immorali da divenirne possibili precetti educativi, in cui divieti e proibizioni cedono il loro scranno di solistica tirannia al proprio desiderio, lodando e riverendo l’incesto con altri crimini della carne mentre la castità, la purezza e il pudore assumono i panni di malvagie chimere.

(Estratto da “Apologia del pensiero impuro, di Fabrizio Corselli, Rivista Atelier, numero 37)